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Metti un ulivo al cine: pesce d' "Aprile" doc
 
È uscito il film di Nanni Moretti, "Aprile", con cronologica e sapiente programmazione pubblicitaria. Quando ancora non si sa che cosa sia tutti ne parlano. E all'uscita i bonzi della cronaca - politica e culturale - non lo sottraggono alla gran cassa delle prime pagine promuovendo un piatto preriscaldato. I film di Moretti escono attesi come i discorsi enciclici del pontefice. Moretti - non è una scoperta di oggi - ha una vocazione di moralista politico che si presta all' omelia. Nulla da dire contro i preti, ma viene da dire: ciascuno faccia il suo mestiere. Anche se è vero che già da tempo i confini tra predica e argomentazione sono dissolti: nessuna filosofia del presente è oggi capace di tracciare i limiti.
Il riciclaggio - nell' autobus, negli uffici, nei salotti, in tutte le occasioni - delle battute morettiane del film ci faranno sentire prossimamente il termometro della diffusa intelligenza politica a sinistra e a destra. La forbice destra/sinistra farà a pezzetti quotidiani e riviste, critici e giornalisti. Questa caratterizzazione sottrarrà l'evento - anzi il momento - cinematografico al suo linguaggio, allargando lo spazio a tuttologi e mariologi, mitografi integrati e politici apocalittici. Così sentiremo ancora che l'ironia è di sinistra e - visto che ci siamo, non dimentichiamolo - anche l'ipocrisia. Il film mostra tutti i segni della crisi linguistica di oggi: le parole sfuggono ai loro proprietari e gli si rivoltano contro.
Ancora una volta una mancata diffusa dimestichezza con la poesia lascia del tutto impreparati. Eppure non è impossibile capire perché essere di sinistra è più difficile: è più arduo il compito, è più complesso il progetto; è necessaria una vocazione resistenziale per non svendere i valori che ci hanno formato, per non cadere nel facile compromesso; è più difficile accettare il fatto che l'utopia non può che stare fuori - e oltre - di noi. Eppure c'è una sinistra invasiva, una banalità quotidiana nutrita di parole gonfiate come solidarietà, occupazione, emancipazione, uguaglianza, libertà, cultura, valori, giustizia, ecologia dell'ambiente e della pelle. Parole gonfie d'aria in procinto di esplodere. Tutti ne parlano e tutti proclamano che esse "non sono di sinistra più di quanto siano di destra". In questa omogeneità superficiale non si vede - per miopia - il vero problema politico, perché in politica le parole sono solo vestiti atti a nascondere procedure, progetti, intenzioni, obiettivi: politiche. Sono le parole gli strumenti veri del trasformismo e del ricatto enclavizzato dal nostro sistema politico. In questi anni abbiamo vissuto gli effetti culturalmente devastanti della terribile alternativa: o mangi questa sinistra o salti dalla finestra (senza per questo fare la fine di Pinelli o di Sofri e compagni). Che la sinistra sia una minestra brodo sa lo sappiamo tutti da tempo: l'Ulivo ha sottoposto in questi mesi di governo tutti i cittadini italiani a dosi massicce di autoflagellazione che il film di Moretti richiama istintivamente nel tazebao "Fatte l'epidurale a tutte", che vuole affiggere sui muri del Fatebenefratelli.
"Aprile", sostanzialmente quarto episodio del diario caro al regista, in cui riappare - deus ex machina - la vespa diventata essa stessa "cult" movie, ci conduce di fatto sulla via di un cinema episodico e costruito per episodi. Il rischio della serializzazione, horror vacui di un cinema italiano povero di idee (a parte una schiera di giovani registi innovatori), fa invocare la legge del contrappasso. Ci vorrebbero dei serial killer, assassini cioè della subdola serialità implicita in questa vocazione clonatrice della cultura (retorica) di questa "sinistrata" sinistra. Attanaglia un po' tutti il terrore di somigliare a dei piccoli veltroni in miniatura (perché è già miniatura in sé il "nostro" facsimile viceclinton), transessuali della cultura (senza offesa per i transessuali veri e propri) che crescono sotto il bombardamento subliminale dei filotibetani a tutti i costi, ammaliati dai bertolucci-gerepitt, figure (freak) di intellettuali non integrati ma disintegrati, polverizzati dall'incapacità di impugnare con la stessa veemenza la spada contro la disoccupazione, lo sfruttamento del lavoro minorile, la disperazione degli immigrati, l'irriducibilità da nicotina e cocaina, la nichilistica cortesia degli squatter (tutte parole a rischio di soottovuoto spinto) e chi più ne ha più ne metta. La sinistra, anche quella storica, non ha mai avuto rispetto per la diversità semplicemente perché non l'ha riconosciuta là dove stava, non ha dialogato con essa e nella migliore delle ipotesi ha pensato di fagocitarla, nella peggiore l'ha emarginata. Il rischio di questa serializzazione dei santoni è quello di un conformismo di ritorno. L'anticonformismo di Nanni Moretti non sfugge quindi al conformismo di sinistra. Il riso e il divertimento (amari), che i 78 attesissimi minuti dell' omelia minimalista del regista autarchico scatenano nel pubblico, non sono in realtà molto diversi dallo sgranocchiare di popcom a cui non ci abitueremo mai. Cambia il contesto, ma il fastidio è lo stesso: l'esplosione di risate doverose e necessarie - al di là del fatto che il film possa essere veramente divertente o meno - testimoniano di un conformismo cui manca il senso dell' autocritica. "Aprile" non è molto diverso da un ritaglio di copertina dell' Espresso, perché il regista-attore ricorre al facile conformismo di sinistra saccheggiato dal buonismo veltroniano. Viene da dire che se le L'Espresso ha il suo feticcio nel corpo femminile nudo, la sinistra di oggi ha in Nanni Moretti una delle .griffe più spendibili (pensiamo a Salvatores, Verdone, Benigni, ma anche in campo musicale il fenomeno è più palese - a Dalla, Jovanotti, De Gregori, Venditti, ecc.). Si è detto che il film fa male, va giù duro e colpisce profondamente a sinistra: ma c'è da scommettere che nessuno a "sinistra" si sentirà offeso, anzi l'autore di Ecce bombo sarà ancora di più avvolto dalla toga "rossa", incensato e assorbito dalla agio grafia ulivista.
Che l'anticonformismo si rovescia facilmente nel suo opposto (se non controllato da una molotov poetica ogni tanto), lo dimostra anche il fatto che in realtà nel film di Moretti - a dispetto di quanto sostengono i cronisti delle maggiori testate italiane - il privato è pubblico e il pubblico è privato. Non c'è rottura radicale, ma continuità con gli slogan del movimentismo 77, spurgato però di tutti gli elementi detonatori e spiazzanti. Ecco perché le battute del regista attore sono in un certo senso telefonate e il pubblico anticipa con la sua risata la battuta (così fa anche per Benigni la cui sola marionetta e smorfia allarga gli angoli della bocca e ci fa esibire la dentatura). La curvatura di Moretti è quindi sempre ancora autarchica, ma non nel senso dell'autoironia individuale, quella che fa male oltre che far ridere. L'individuo scatenato sul set di "Aprile" vuole essere il rappresentante di una sinistra che è diventata un prodotto commerciale collettivo ed europeo, vendibile al nord come al sud, ad ovest come ad est. È sintomatica che una battuta di Moretti sia il segno di un autogol: non voglio votare "per", ma voglio votare "contro", 'dice l'attore. Oggi l'identità della sinistra è infatti tutta costruita sull' avversario, cioè su Berlusconi. Parallelamente, sul versante linguistico, il cinema si costruisce purtroppo a partire da una tesi che si vuole propugnare, non a partire da un'idea cinematografica. Quella dell'ulivo è di riflesso una teologia negativa cui manca un progetto alternativo. Moretti, cinematograficamente è questo: un progetto che manca, un'idea che non c'è, un'assenza filmica.
Quest'ultimo, "Aprile", solo occasionalmente è un film: potrebbe essere - più vero - il comizio ad Hyde Park corner e non perderebbe niente culturalmente.
Così si può dire che "Aprile" è una pellicola che può essere rivoltata come un calzino e il cui pensiero debole (tanto più debole quanta più decisione e carattere chiede al mondo di sinistra) può prestarsi al gioco nichilista dell' autoreferenzialità. Quello che Moretti rimprovera alla sinistra potrebbe essere rimproverato senza sensi di colpa allo stesso regista. Ma Moretti si è spostato di lato, si è disincarnato donandosi, sdoppiandosi nel figlio Pietro che non farà l'attore ("gli impediremo di fare l'attore") nello stesso momento in cui è già protagonista, centro di gravità di questa storia.
Il nannismo, o meglio il moretti-pensiero, è importante in questa Italia fatta di guru e di unti del signore. Perché il film è segno irriducibile di un modo di vivere la politica da eterni esuli delle istituzioni, come degli aggiornati "autonomi" postsessantottini che hanno trovato nell' indecisione (fatta ideologia) l'alibi più efficace per non prendere posizione e stare ai margini e la postazione strategica più idonea per fuggire dalla barca che affonda o comunque stare a guardare. La spina dorsale che unisce tutti i film di Moretti era piegata fin dall'inizio da un peccato originale: la marginalità politica del fare cultura fuori dai binari dei partiti. Invece questo peccato originale oggi non viene più rivendicato, rimesso in gioco. Si ignora che c'è tutto un mondo che resta fuori da questo modo di essere di sinistra alla Moretti. È lo stesso Moretti che lo spinge fuori dal proprio corpo ideologico anchilosato: capita a Strange Days qui come capitò a Henri pioggia di sangue in Caro diario. La distanza che Moretti misura è una distanza da un modo di vivere l'esistente e di respirare l'aria che oggi - a sinistra, per una sinistra più attenta e moderna - debord(a) nelle realtà virtuali, nella pulp generation, nella narrativa cannibale, nel rap, in internet e altrove. Eppure l'inizio del film suggerisce un' altra direzione possibile: al fantasma virtuale televisivo di Fede, Moretti non avrebbe dovuto semplicemente - o solo - farsi una canna, ma poteva trasformare il film in una gigantesca "canna" cinematografica, sottoporre il pubblico a 78 minuti di fumo-cinema. Invece i tic nervosi del regista prendono corpo, si fanno dinosauri e non lasciano dubbi sulla prevedibile andatura del film. Il suo non è un cinema che tende a farsi tale caratterizzando si, proponendo, inventando, ricercando. È un cinema che linguisticamente vive sul già detto e già visto. Il cinema è uno strumento capace di leggere il mondo reale, ma in "Aprile" la realtà è solo sfiorata, si sta in superficie. E ciò avviene intenzionalmente, perché Nanni Moretti non è tanto distratto dai fatti che vuole documentare (la manifestazione del 25 aprile, i leghisti sul Po e a Venezia, i comizi elettorali e le interviste) perché si impone la vita del figlio neonato: in quel mancato appuntamento (cinematografico) si misura l' impossibilità per il suo cinema di misurarsi con il disagio della sinistra, perché dietro non c'è più passato (le ideologie sono morte), non c'è più presente (il tempo chiuso nei ritagli viene gettato all'aria) e non c'è più futuro (non c'è progetto politico alternativo). L'unico futuro possibile èchiuso nella gestualità del figlio, nel suo crescere,. nel suo sottoporre il quotidiano allo stillicidio di nuovi problemi (il pianto, la fame, la cacca, il bagnetto, l' apprendimento, ecc.).
Quella del privato quindi non è una sfera che sposta di lato, imponendosi, il pubblico e il politico, ma è un privato che risulta essere l'unica sponda politica vera e vivibile. Anche il vago gioco su musical e documentario si sottrae alla facile dialettica. Perché il cinema non vive contrapposizioni irrimediabili: l'opzione musical contro il documentario è solo formale, non crea punti di vista ideologici. Il musical non perché è tale è meno politico del documentario. Tant' è che il cinema di Moretti manca proprio dalla parte del soggetto che guarda. Non perché si filma si fa cinema, così come non perché uno scrive fa per questo poesia e letteratura.
NUMERO /2
Anno 1998, n. 2
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