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"Apolitici e integrati", ovvero quando l'etica e la cultura...
 
Questa storia non dimentica l’oblio, le aree oscure, le ombre che il passato getta sul presente.
Ogni volta che ci avviciniamo a un giorno di elezioni - soprattutto nei periodi in cui si fa più emergente e urgente un segno di cambiamento - l’ottimismo della volontà ci illumina di una luce strana e opaca, ma pur tuttavia ci illumina. Abbiamo saltato il baratro del Pili bis guardando al Soru dell’Avvenir con una nuova fiducia.
Non era solo un vago atavico cinismo che ci ha fatto dire “Meglio Soru che male accompagnati”. Era qualcosa di più, che proveniva da una dimensione ignota.
Il vuoto poi ci ha preso e ha fatto tabula rasa, ad un tempo, delle paure e delle aspettative. In questa cancellazione, in questo rinnovato oblio, non ce ne siamo accorti subito, con l’acqua calda abbiamo buttato via il bambino.
Però se all’orizzonte non c’era ancora nulla, alle spalle almeno speravamo di aver fatto piazza pulita di molti politici compromessi, a destra, al centro, a sinistra.
Più incazzati con questi ultimi, quelli che dopo aver fatto disastro della sinistra storica aspiravano a una rendita per anzianità di servizio.
Sembrava che qualcosa stesse cambiando in questo senso e qualcosa effettivamente era cambiato. Ma il passato pesa con tutte le sue ombre e non è facile liberarsene.
Così molti “hombre” sono usciti dalla porta e sono rientrati, travestiti, dalla finestra. Soru non è stato sufficientemente coraggioso all’inizio (nel tempo in cui era necessario esserlo) quanto invece ha cercato di farsi e presentarsi audace fino ad oggi (nel tempo in cui è necessaria accortezza e mediazione politica). E non poteva esserlo per codice genetico: perché da una concezione che assimila l’azione politica alla gestione aziendalista difficilmente può venir fuori qualcosa di positivo che non appartenga alla fiera delle banalità populistiche.
Il riciclaggio è umano, nessuno si butta via, nessuno vuole essere buttato via. “Nulla si crea e nulla si distrugge” è una legge universale che ci dice che complessivamente, in politica, i conti tornano sempre a zero e dove c’è un più c’è anche un meno.
Se Soru fosse stato veramente coraggioso avrebbe cercato i candidati più pronti politicamente tra gli artisti e avrebbe invitato i soliti politici a fare pittura domenicale per non far danni al mondo dell’arte. Ma l’opinione corrente è che nel dirigere un’azienda non ci sia niente di poetico e che nel gestire la cosa pubblica poco ci sia veramente di che essere creativi. Ma chi l’ha detto? Un aziendalista? Un politico? Una sintesi di entrambi?
Va bene, tutti hanno capito che non si poteva sperare di più.
Un anno è passato - quasi - dalla vittoria di Renato Soru e fare un bilancio ci espone ad una fastidiosa pioggia di punti interrogativi.
La gestione politica schiacciasassi del nuovo Presidente ha prodotto una marea di conflitti e divisioni che da un lato sta sbriciolando gli alleati e dall’altro potrebbe accelerare quell’analfabetismo di ritorno di cui sono malati i politici di professione (alla Camera e al Senato oramai non si contano più).
Beninteso: intendiamo riferirci ai politici che si curano della politica nello stesso modo in cui si curano dei propri affari: una cura tutta esclusiva dell’interesse personale.
È vero che molti di quei politici che hanno perso il “treno elettorale” imperversano poi come tifoni anche nelle segreterie dei partiti. Trombati e sconfitti si muovono con furia vendicativa: quando non hanno guadagnato poltrone nelle Istituzioni si agitano furibondi cercando di manovrare dall’esterno le proprie pedine.
La logica dilagante è: chi non è me è contro di me. È la stessa sindrome che sta estinguendo (lo speriamo vivamente) la leadership di Silvio Berlusconi.
In prossimità di queste imminenti elezioni amministrative in Sardegna gli effetti di questo agire politico, che ha assunto in alcuni casi la forma del delirio, è sotto gli occhi di tutti.
La dialettica trasformata in conflittualità esacerbata e la mediazione risolta in accattonaggio sembrano essere le costanti di questo clima politico.
Si vota a maggio per 8 amministrazioni provinciali (le 4 storiche con l’aggiunta di 4 inutili nuove province realizzate solo per sistemare una nuova schiera di burocrati per lo più - temiamo - ignoranti).
L’ottimismo della volontà oggi è solo un ricordo.
Quello che succederà nel centrosinistra sardo lo possiamo facilmente immaginare: sarà complessivamente una debacle. Anche Nuoro, l’unica isola nell’isola che era rimasta alla sinistra rischia di affondare. Una morte annunciata dallo stile con cui sono stati gestiti questi mesi di preparazione al voto.
La cecità dei professionisti della politica non gli consente di guardare alla politica per coltivare l’interesse dei molti. Sia chiaro: la destra l’interesse privato lo cura d’ufficio, per vocazione genetica.
Nel centrosinistra cerchiamo invece, faticosamente, di far sopravvivere delle idee diverse. Ah! le ideologie? Sì, le vecchie care indimenticabili ideologie, quelle che hanno ricostruito l’Italia dopo il nazifascismo e che hanno scritto quella Costituzione che è ancora oggi un avamposto della nostra democrazia e che si vuole smantellare per ripristinare una democrazia debole, cialtrona e facilmente annientabile. La democrazia che ha mosso i suoi primi passi nella solidarietà e nell’interesse dei molti, della collettività, della società italiana.
Diciamola tutta: in realtà la classe politica sarda, come quella italiana, è complessivamente ancora vecchia e ignorante.
Chissà quanti di loro hanno approfondito i temi della politica confrontandosi con protagonisti del dibattito contemporaneo come Habermas, Rawls, Nozick.
Chissà se sanno che Habermas già nel 1968 aveva rintracciato all’interno di una società dominata dall’agire strumentale i nodi dell’intreccio conoscenza/interesse in grado di porci in un orizzonte emancipativo.
Discorso che lo porterà ad individuare e definire la sua teoria dell’agire comunicativo.
Chissà se i nostri brillanti candidati immaginano i risvolti etici che comportano il superamento dell’agire strumentale nell’agire comunicativo.
In realtà non gliene importa niente, perché oggi in politica possono “brillare” tutti, inetti e affaristi, ingenui e furbi. Eppure un avvicinamento tra etica e politica non è solo auspicabile, ma è anche segno di una maturazione concreta del sistema democratico, perché sintetizzata nel “corpo” democratico, che dovrebbe essere l’eletto dal popolo a ricoprire un ruolo dentro le istituzioni.
Lo diceva Bobbio che la democrazia «è quel sistema politico che permette il maggior avvicinamento tra le esigenze della morale e quelle della politica».
Lo permette, ma non lo dà per scontato. A qualunque livello, a partire dalla scelta democratica dei candidati che poi potranno essere eletti.
E su questo versante sarebbe importante per un politico cogliere i nessi di un dibattito oggi molto vivo che mostra quanto sia lontano dagli interessi di una comunità il modello che propone una netta separazione tra etica e politica. Non è necessario essere degli ecologisti apocalittici per avvertire questa necessità in modo inderogabile ed incombente.
Se è vero che il destino del pianeta pone l’urgenza di una condotta politica misurata sull’universalità degli uomini e di alcune opzioni etiche, il destino di una piccola comunità come quella sarda non può essere stralciata da un orizzonte comune, nazionale, europeo, mondiale.
In questo senso un po’ di educazione politica con la lettura (critica, sempre) di Hans Jonas e Karl-Otto apel non nuocerebbe ai nostri saccenti candidati.
Certo, visto come vanno le cose in una dimensione nazionale (e internazionale), se guardiamo a Berlusconi e Bossi, se guardiamo cioè dentro quei buchi neri dell’intelligenza politica che sono Forza Italia e la Lega Nord, c’è solo da provare paura. Beninteso non stiamo dicendo che Berlusconi e Bossi sono stupidi (non sarebbero là dove stanno), ma che a loro manca del tutto l’intelligenza politica in quanto intelligenza della cosa pubblica, intelligenza dell’universalità degli interessi, cioè il valore sociale ed etico della politica.
E nel centrosinistra non c’è da scialare. Subito dopo la vittoria di Soru e del centrosinistra qualcuno aveva scritto che la Sardegna aveva scelto etica e cultura. E durante la campagna elettorale si erano sprecati riferimenti a Antonio Gramsci, Enrico Berlinguer, Paolo VI e chi più ne aveva più ne metteva.
Ma soprattutto il consenso elettorale era calamitato dai bei discorsi sulla questione morale e sull’impegno in campo culturale. Proprio su questi fronti oggi la delusione è fortissima e chiara: il discorso morale è ridotto a chiacchiera, il progetto culturale è misurato con il metro dei tagli. Il “Soru dell’Avvenir” per adesso è illuminato di (mi perdoni Eco) apolitici e integrati, i veri emergenti di una nuova Era - e non a caso il richiamo all’imperfetto del verbo essere ci ricorda che la storia non dimentica l’oblio se ci si spinge inconsapevolmente verso il tramonto.
Buon per noi se l’elettorato si mostrerà più intelligente dei suoi candidati non solo scegliendo il meno peggio, ma soprattutto chiedendo conto ai suoi eletti degli interessi di tutti, cioè costringendoli a far politica in senso etico.
NUMERO /1
Anno 2005, n. 1
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