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La democrazia difficile
 
La democrazia difficile
Nell'introduzione al suo libro La democrazia e i suoi critici (Ed. Riuniti, 1990), R. A. Dahl afferma che "oggi, l'idea di democrazia è universalmente popolare", ma avverte che "un termine che significa tutto, in definitiva non significa niente".
Proprio il termine democrazia, secondo R. A. Dahl, "attualmente non ha un significato delimitato e preciso, ma funge piuttosto da vago avallo a una idea popolare". Il suo studio mira a dissipare l'ambiguità del termine democrazia.
R. A. Dahl riconosce comunque che per "un numero considerevole di problemi [della democrazia...] non sembra esistere alcuna soluzione definitiva" nemmeno dal suo punto di vista. Insomma, per questo teorico non comunista del processo democratico l'idea della democrazia è tutt'altro che di immediata evidenza sia empirica che teorica. La sua ricerca, anche quando arriva a conclusioni non condivisibili, è sempre lontana sia dall'apologia del democraticismo tradizionale sia dalla sciatteria e sfrontata superficialità di un democraticismo dell'ultima ora sia dalla euforia acritica del postcomunismo.
Forse per questo il libro non è stato molto discusso (seppure è stato letto); e non pare abbia lasciato un segno riconoscibile. Alla problematicità di un "liberal" americano qui in Italia si preferisce il cicaleccio ripetitivo di qualche "liberale" locale.

La democrazia del gambero
Le ultime elezioni presidenziali hanno sostanzialmente confermato il carattere scarsamente partecipativo della democrazia negli Usa.
Solo 136 dei 188 milioni di elettori si sono registrati per votare: ben 52 milioni (come dire, l'intera Italia!) hanno deciso di non votare già nella fase della registrazione che precede il voto stesso. Ma poi i votanti sono stati solo 104 milioni (55% degli aventi diritto al voto): si sono persi per strada altri 32 milioni di elettori per un totale di non votanti pari a 84 milioni!
Tuttavia la percentuale dei votanti rispetto al 1988 è aumentata di oltre il 4%. Non molto; e comunque resterebbe da verificare quanto sia dovuto al candidato Clinton, quanto alla presenza di Perot e quanto alla crescita della popolazione.
Il carattere scarsamente partecipativo si accentua nelle elezioni federali, statali e locali non abbinate a quelle presidenziali: la partecipazione al voto scende sotto il 50% e può precipitare anche sotto il 30% degli aventi diritto. In un regime di "monopartitismo imperfetto" dove i due partiti dominanti si differenziano prevalentemente per il di- verso peso dato alla spesa pubblica e ai diritti civili, dove non esiste una reale alternativa di progetto della società difficilmente nascerà e si alimenterà una reale speranza di cambiamento che spinga alla partecipazione.
Da un punto di vista democratico, occorrerà alla fine decidersi a considerare gli Usa come una "Bulgaria alla rovescia" con il suo "normale" 30-50% di votanti e con il sistema maggioritario ormai arrivato all'assurdo per cui è una minoranza degli elettori a scegliere i governanti (compreso il Presidente). Infatti, la maggioranza di quel 30-50% di votanti corrisponde alla minoranza degli elettori. Così, anche un Presidente che riuscisse a raccogliere il 100% dei voti espressi, avrebbe il consenso attivo al massimo della metà degli elettori; ma in realtà ogni vincitore deve accontentarsi di un consenso anche molto inferiore a quello di un terzo dell'elettorato! Così, anche Bill Clinton con il suo "entusiasmante" 43% di voti ha in realtà avuto il consenso di poco più del 23% degli elettori, cioè il consenso di una "minoranza bulgara".
È un paradosso a cui porta la "regola maggioritaria" se la democrazia non si sviluppa, se non mantiene le sue promesse, se si rinsecchisce, se diventa commercio e marketing.

Le scorie del progresso
La stima secondo cui quarantamila bambini nel mondo muoiono ogni giorni di fame e/o di "malattie da miseria", colpisce già nella sua immediatezza. Tuttavia essa rischia di essere riduttiva e di nascondere una tragedia di dimen- sioni spaventose.
Basta infatti collocare nel tempo l'avvenimento quotidiano per vederne la sua dimensione apocalittica. Così, se andiamo indietro nel tempo (assumendo costante la stima iniziale, che pure riflette un miglioramento della condizione infantile nel mondo!), i morti sono un milione e duecentomila nell'ultimo mese, circa quattordici milioni e mezzo nell'ultimo anno, circa centocinquanta milioni nell'ultimo decennio; e dall'inizio del secolo a oggi, cioè quasi a memoria d'uomo, i bambini morti per fame e/o per malattie da miseria si possono stimare in circa un miliardo e mezzo.
Non cercate responsabili. La risposta è nota, ripetuta, rassicurante e assolutoria: poteva essere peggio, viviamo nel migliore dei mondi possibili, non esiste progresso senza scorie, tutto il possibile è stato fatto. Intanto una minoranza progredita controlla e consuma la maggior parte delle risorse mondiali. A fin di bene, naturalmente!
Cagliari, aprile 1993
NUMERO /1
Anno 1993, n. 1
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