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Politica in stato confusionale
 
Credo che anche ad un osservatore distratto delle vicende della nostra Regione non possa che balzare all’occhio proprio l’assenza di un qualsivoglia progetto per la Sardegna da parte del nostro mondo politico.
È, purtroppo, una considerazione che mi trovo, sconsolatamente, a trarre dopo quasi quattro anni alla guida degli industriali sardi.
Un periodo non breve nel quale mi sono confrontato con tre Giunte, una delle quali, l’attuale, si presenta con ben quattro assessorati assunti ad interim dal Presidente.
In questo ultimo scampolo di legislatura che stancamente volge al termine, assisto ad un Consiglio regionale che, all’approssimarsi di importanti appuntamenti (approvazione bilancio, riprogrammazione dei fondi comunitari), non trova meglio da fare che “perdere tempo” dietro ad una riforma elettorale di cui nessuno, salvo gli stessi consiglieri regionali, sentono la necessità.
Quale progetto per la Sardegna può dunque provenire da una classe politica più interessata a mantenere la situazione attuale, e che non sembra colpita dal progressivo inasprirsi della crisi di un sistema produttivo esausto e di una società dove sono sempre più evidenti i segnali di malessere diffuso? Di una politica che non si interroga sulla efficacia ed efficienza della spesa delle ingenti risorse comunitarie?
Sono convinto che da troppi anni si sia verificato un corto circuito tra politica e società sarda, dove la prima non ha più le chiavi per interpretare i cambiamenti di cui protagonista la seconda.
Questa incapacità di leggere i mutamenti e di governare in modo che questi si traducano in opportunità e non in ostacoli per i cittadini e le imprese sarde è la caratteristica di questa fine millennio di storia regionale. Certo, un sistema autonomistico chiuso in se stesso e autoreferente non ha contribuito a far crescere la nostra classe politica, ma sarebbe semplicistico addossare ogni colpa soltanto ad essa, rinunciando a considerare che questi politici sono espressione della stessa società che li ha eletti.
Ecco perché guardo alle ormai prossime elezioni con un misto di speranza e di preoccupazione. La prima, nella convinzione che, se il sistema elettorale dovesse rimanere quello applicato alle Regioni ordinarie, senza modifiche introdotte dal Consiglio regionale volte a depotenziarne la portata innovativa, la Sardegna conoscerà una vera e propria rivoluzione politica.
Niente sarà più come prima, perché per la prima volta il Presidente della Giunta potrà contare su una serie di “armi” in grado di contrastare quel Far West che fino ad ora è stato il Consiglio Regionale, dove prevalevano gli interessi particolari su quelli generali, i singoli appostati “dietro i muretti a secco”, piuttosto che i gruppi capaci di essere maggioranza.
La Sardegna potrà finalmente contare su un assetto dei poteri e delle responsabilità di governo più confacente ad una moderna società.
Al contempo, la preoccupazione deriva dal quadro che stanno offrendo in queste ore i nostri politici che non sembrano in grado di percepire appieno la svolta epocale che verrà sancita dalle nuove elezioni. L’impressione che se ne trae, a destra come a sinistra, è che siano in preda ad uno stato confusionale che manifesta l’assenza di qualsivoglia strategia, del benché minimo progetto.
Solo così si può spiegare il dibattersi del centro sinistra sulla scelta del candidato alla Presidenza. Solo così si può spiegare il tira e molla di Forza Italia relativamente all’entrata in Giunta, lo stato confusionale della maggioranza sulla legge elettorale, l’accavallarsi di proposte alternative quali quella di introdurre le primarie per la scelta del candidato alla carica di Governatore.
In attesa che, finalmente da una parte e dall’altra si discuta di programmi, e venga presentato il progetto per la Sardegna, mi permetto alcune brevi considerazioni finali.
La Sardegna sta conoscendo quella che oserei definire una vera e propria crisi di identità: la crisi della grande industria non trova a tutt’oggi una compensazione plausibile nello sviluppo di nuovi settori a maggiore valore aggiunto. Permane in tessuto produttivo fatto al 98% da piccole e medie imprese, con una preponderante prevalenza delle aziende di minore dimensione.
È un sistema affetto da nanismo, fortemente concentrato su pochissimi settori, poco aperti all’export, dove le limitate dimensioni aziendali limitano la diffusione dell’innovazione e della conoscenza, ancora troppo dipendente dal sostegno pubblico, e che non può contare su un contesto adeguato in termini di infrastrutture materiali ed immateriali.
Esistono d’altra parte delle opportunità che, forse, nonostante i proclami, non sono state ancora adeguatamente sfruttate.
Innovazione, conoscenza e infrastrutture sono le tre parole d’ordine sulle quali in altri Paesi si sta costruendo lo sviluppo. È fin troppo facile declinarle in un programma, più difficile chiarire come si intenda perseguirli concretamente al fine di assicurare alla nostra regione occupazione, crescita dimensionale delle nostre imprese, loro radicamento in nuovi settori a maggiore valore aggiunto.
Questa è la vera sfida di un progetto della Sardegna che non sia il solito libro dei sogni.
Riccardo Devoto è Presidente Regionale di Confindustria
NUMERO /3
Anno 2003, n. 3
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