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Quale politica e nell'interesse di chi
 
Da tempo ormai la politica è diventata mestiere, o meglio, è solo mestiere, e sembra diventata appannaggio esclusivo di coloro che la fanno per professione.
Ciò comporta da un lato che i professionisti della politica sono, o diventano, individui incapaci di svolgere un’attività lavorativa per cui sono destinati a svolgere ruoli di governo o sottogoverno vita natural durante, e ciò anche nel caso abbiano dato prova di incapacità e, talvolta, di illegalità, nel proprio operato.
Assistiamo spesso al perpetuarsi di incarichi pubblici in capo a persone alle quali non affideremmo neppure la gestione di un centesimo.
Alcuni di essi sono chiamati all’amministrazione di enti, altri vengono da noi eletti a rappresentarci nei comuni, nelle province, nella regione, in parlamento.
Coloro che sono stati eletti si fanno forti del consenso elettorale ottenuto in sede di consultazione popolare e ritengono per ciò solo di poter gestire la cosa pubblica senza renderne conto ad alcuno. Quelli che ricevono incarichi di amministrazione senza il vaglio popolare, devono rispondere del loro operato esclusivamente al gruppo di appartenenza che non devono deludere se desiderano ottenere altri incarichi. In generale nessuno controlla se l’attività svolta dall’eletto o dal cooptato si inserisca in un programma di utilità economiche, giuridiche, sociali e soddisfi realmente l’interesse pubblico.
Un tempo la selezione dei politici avveniva all’interno dei partiti di appartenenza che si preoccupavano di dare ai loro iscritti la necessaria preparazione per svolgere il ruolo di classe dirigente. Non solo, ma i partiti, pur protesi alla tutela dei propri spazi, cercavano di assicurarsi, per l’attuazione dei loro programmi, anche l’apporto fattivo di forze della società civile.
Credo che i politici, almeno la maggioranza, siano sempre stati mossi da una buona dose di utilitarismo, sono altrettanto convinta però che nel passato all’utilitarismo si accompagnasse, in misura maggiore o minore a seconda dei soggetti e della forze politiche di appartenenza, un progetto ideale, la necessità di perseguire delle utilità per la comunità. A me ora sembra smarrito proprio il senso del buon governo, dell’interesse collettivo da realizzare all’interno di un disegno organico di società in cui vanno inseriti i singoli interventi legislativi e/o amministrativi.
Si sente spesso dire che bisognerebbe ritornare alla politica come servizio, e liberarsi di coloro che la fanno per mestiere. Si dovrebbe vivere per la politica, non della politica .
Ma quest’aspirazione ha ormai il sapore dell’utopia. I partiti hanno smesso di selezionare i loro dirigenti, evitano accuratamente di far crescere al loro interno competenze e professionalità, non hanno più sensibilità ed interesse per le istanze che vengono dai cittadini e coltivano pervicacemente la politica dell’autoconservazione dei propri dirigenti, politici di professione in gran misura privi di una propria attività lavorativa. Sono permanentemente seduti intorno a qualche tavolo di trattative per la spartizione del potere.
I cittadini purtroppo non hanno alcuna possibilità di influenza in questo quadro catastrofico. La scelta dei candidati viene fatta all’interno dei gruppi dirigenti dei partiti, non in base alle capacità e ai meriti degli aspiranti candidati, ma per dare soddisfazione alle varie correnti e gruppi di potere, all’interno di una logica puramente spartitoria. Non solo i cittadini, ma le stesse truppe (la c.d. base) dei partiti non hanno alcun potere decisionale. La loro scelta si limita a decidere se andare o no a votare, e, in caso positivo, non possono che votare quelli che i partiti dell’uno o dell’altro schieramento propongono.
Il dramma è che è difficile trovare tra gli uni e gli altri differenze riconoscibili.
E una volta eletti i propri rappresentanti è praticamente impossibile controllarne l’operato. La conseguenza è che sempre meno persone vanno a votare, che si diffonde un senso di frustrazione, un sentimento di disistima dei professionisti della politica, mescolato ad invidia per i privilegi che questi continuano ad accumulare. Il giudizio sull’operato dei politici non consente di discernere tra buoni e cattivi dato che diventa ogni giorno più difficile fare dei distinguo tra gli appartenenti ai diversi schieramenti.
Un esempio per tutti: la squallida vicenda di invalidopoli.
Anzitutto: se Giorgio Melis, giornalista de “La Nuova Sardegna”, non avesse denunciato sul quotidiano la rapina delle casse della Regione da parte di un folto gruppo di consiglieri di entrambi i poli, noi cittadini non ne avremmo mai saputo niente. Da questa vicenda abbiamo imparato diverse cose: I nostri consiglieri regionali, accecati dall’ansia di accumulare sempre maggiori privilegi, hanno perso qualunque contatto con la realtà economico-sociale dell’isola e con i bisogni degli amministrati.
I nostri consiglieri credo siano tra i più pagati d’Italia, nonostante i sardi si siano espressi con un referendum per la riduzione delle loro indennità. Ma cosa conta il parere degli elettori se tanto questi non possono incidere nella scelta dei candidati?
La vicenda dimostra che i nostri rappresentanti in Regione hanno smarrito qualunque senso etico: palesemente essi vivono di politica, e non certamente per la politica. Sono il peggior esempio possibile di mestieranti. Sono un insulto per i cittadini giovani che a causa dell’invalidità conclamata (e non da medici di loro scelta), non solo non godono di indennità da favola, ma hanno serie difficoltà ad inserirsi in attività lavorative che consentano loro di vivere e mantenere la famiglia. Per non considerare la sorte degli invalidi di età avanzata che con l’indennità loro liquidata riescono a pagarsi al massimo un paio di ore al giorno di assistenza.
Ma devo dire che quel che più mi ha scandalizzato e ferito è il fatto che nessuna forza politica abbia gridato allo scandalo, si sia opposta ai deliberati truffa, e abbia denunciato pubblicamente la cultura dell’uso della cosa pubblica per scopi personali. E nessuno può giustificarsi sostenendo che non sapeva. Nell’Ufficio di presidenza del Presidente del Consiglio sono rappresentati tutti i partiti politici, ed ogni consigliere ha il dovere di informarsi (anche per questo percepisce la retribuzione) su tutto quanto accade in consiglio e in giunta.
Emolumenti pari a circa 10 mila euro mensili obbligano chiunque a non stare in consiglio per scaldare la sedia, ma a svolgere il ruolo di governo per gli eletti di maggioranza, e il ruolo di opposizione per quelli della minoranza. La vicenda di invalidopoli denuncia senza possibilità di appello il fallimento di questo consiglio regionale nella sua interezza. Le tardive dissociazioni di alcuni consiglieri e la rinuncia al privilegio delle indennità di invalidità milionarie dell’onorevole Selis, già designato quale presidente della regione per il centro sinistra, non li assolvono dalla responsabilità di aver avallato o di aver tentato di profittare del proprio ruolo politico per ottenere non giustificati privilegi.
Bene, che possibilità abbiamo noi cittadini di rappresentare la nostra disapprovazione dell’operato dei nostri consiglieri, in che misura i partiti terranno conto del demerito che questi signori si sono guadagnati? Ma ripeto Invalidopoli è solo il fatto di maggior impatto mediatico.
È di questi giorni la notizia della scomparsa dal bilancio regionale dei 40 miliardi di vecchie lire destinate all’università di Nuoro. Anche in questo caso c’è da chiedersi dov’erano i nostri consiglieri regionali e di cosa si occupavano. E, si badi, il problema non è solo che l’Università di Nuoro, avrà meno danari per realizzare i propri programmi, ma, poiché la cultura come risorsa ed il polo universitario nuorese dovrebbero costituire una priorità assoluta tra gli interventi già a suo tempo indicati dalla commissione d’indagine regionale per sconfiggere l’emergenza criminalità in provincia di Nuoro, dobbiamo concludere che i nostri consiglieri se ne infischiano di risolvere i problemi dell’ordine pubblico e della sicurezza, in un contesto in cui attentati ed atti intimidatori hanno una crescita esponenziale e gli omicidi assegnano alla nostra provincia il terzo posto dopo Reggio Calabria e Crotone.
Così come dovrebbero pesare sulle loro coscienze politiche i 15.000 emigrati negli ultimi 4 anni e le schiere di nuovi poveri che vanno ad ingrossare le file precedenti.
La politica regionale delle ultime legislature è assolutamente fallimentare, manca progettualità, valorizzazione delle risorse, un’idea di sviluppo economico e sociale.
In questo contesto Renato Soru dichiara la propria disponibilità a guidare la Sardegna fuori dal guado. Renato Soru non è un professionista della politica e la sua proposta è tesa a rendere un servizio e non a vivere della politica. Sebbene ancora in termini generici, egli indica alcuni obiettivi da perseguire per uscire dalla marginalità in cui l’isola sarà sempre più costretta. Egli afferma la necessità di valorizzare e sfruttare competenze, professionalità, creatività, fantasia e originalità di tanti nostri apprezzati intellettuali. Progetta di non disperdere, anzi di utilizzare le energie nuove e genuine emergenti nella società civile. Dichiara di voler continuare a guardare il mondo con lo sguardo non corrotto del bambino. Indica la necessità che l’amministrazione risponda all’imperativo del fare, fuori dalle logiche clientelari.
Renato Soru non piace a gran parte dei dirigenti del centro sinistra (mentre alla base piace moltissimo), perché, si dice, i progetti da lui enunciati, sebbene ancora da precisare, contrastano con quelli del centro sinistra. Io credo che a questo punto sarebbe corretto che i leader politici che contrastano Soru chiariscano ai cittadini quali sono i reali punti di contrasto nei progetti di sviluppo dell’isola, enunciandoli con chiarezza, così che tutti possiamo decidere da che parte stare a ragion veduta.
Ma dovrebbero anche garantirci che il prossimo consiglio regionale sarà composto da donne e uomini capaci di passione civile, decisi ad impegnare il loro tempo, le loro energie e la loro intelligenza nell’interesse della comunità.
NUMERO /3
Anno 2003, n. 3
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