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ASL 3 : Quale futuro?
 
Ridisegnare l’organizzazione sanitaria nell’Azienda Sanitaria Locale n° 3 di Nuoro, vuol dire, innanzi tutto, tener conto dell’esigenza fondamentale di un riequilibrio nella distribuzione delle risorse economiche che attualmente creano una disuguaglianza di trattamento rispetto alle aree forti di Cagliari e Sassari.
Tutto questo, in un momento in cui le scelte del ministro Sirchia e del governo rischiano di pregiudicare gravemente le aree deboli come il Nuorese.
La cosiddetta devolution di Bossi, all’esame del Senato, prevede che “le Regioni attivano la competenza legislativa esclusiva in materia d’assistenza e organizzazione sanitaria”, in altre parole è come affermare: allo Stato l’individuazione e la salvaguardia dei principi cardine. Punto e basta. Per il resto, le Regioni faranno da sé con pieni poteri e in piena autonomia, con propri modelli sanitari, se ne saranno capaci. Per dare magari di più, come sarà possibile nelle Regioni economicamente più floride, o rischiando di “dare di meno”, come temono le aree più arretrate come la Sardegna e ancor più le “zone interne”, rispetto al tetto di prestazioni fissato a livello nazionale e regionale.
Che finisca o no per spaccare il Paese, la devolution certamente un risultato lo riserverà in materia d’assistenza sanitaria: lo spezzettamento dell’identità organizzativa del sistema di copertura della salute pubblica.
Naturalmente, la devolution impatterà in diverso modo, secondo l’organizzazione sanitaria in vigore.v Come si colloca la Sardegna ed il nostro territorio in questa situazione?
Innanzi tutto con un fortissimo deficit delle Aziende Sanitarie Locali, il cui ammontare reale ancora non si riesce a determinare o almeno non si conosce.
A ciò non si accompagna né una qualità delle prestazioni accettabile in tutto il territorio regionale, né un’estensione, soddisfacente, dei servizi territoriali.
A ciò si aggiunge l’assenza del Piano Sanitario Regionale, l’ultimo risale al 1985. Appare evidente che in assenza di un provvedimento legislativo si viene meno ad ogni criterio certo di programmazione e, conseguentemente, di assegnazione delle risorse. Il ritardo è, oramai, diventato intollerabile per la centralità che le politiche della salute rivestono nel quadro complessivo della qualità della vita delle persone e dei territori.
Nel 1998 la precedente giunta di centrosinistra ha approvato un piano stralcio del Piano Sanitario Regionale: la ristrutturazione della Rete Ospedaliera, attraverso la quale si è ridisegnato l’assetto degli ospedali, compresi quelli ricadenti nel territorio dell’Asl del nuorese.
A tutto oggi, tale ristrutturazione è in gran parte inapplicata, con il risultato di un’assistenza sanitaria territoriale che non risponde alle esigenze dei bisogni di salute della popolazione.
A ciò si aggiunge una forte incapacità da parte del governo regionale di decidere sul futuro dei piccoli ospedali, venendo meno alle indicazioni contenute nel programma di ristrutturazione della Rete Ospedaliera, sopra richiamato, che poneva un tempo certo di sperimentazione, finito il quale si doveva dare un assetto definitivo ai piccoli ospedali.
Quest’incapacità di attuare scelte programmatiche, dimostratasi, anche, col documento approvato dalla maggioranza di centrodestra, in commissione, sulle modifiche della precedente ristrutturazione della rete ospedaliera, aggrava i problemi di organizzazione ospedaliera della nostra provincia, in cui ricadono gli ospedali di Sorgono, Bosa e Isili, nell’attesa di capire cosa accadrà di questa struttura in seguito al referendum confermativo dell’individuazione delle nuove province.
Anche la distrettualizzazione del sistema sanitario dell’ASL n°3, procede in modo del tutto insoddisfacente, pur essendo il distretto il terreno più avanzato di autonomia organizzativa e gestionale.
Il suo finanziamento è ancora centralizzato, in mano alla direzione generale dell’ASL, con una ripartizione delle risorse, per così dire, “secca”, che non tiene conto delle grandi differenze territoriali, determinate da bisogni di salute non omogenei.
Il distretto rappresenta il luogo dell’integrazione ospedale-territorio-medici di medicina generale, Il luogo in cui “prendersi cura” delle persone e non solo “curare” la malattia, per questo si deve attrezzare con una rete di servizi in comunicazione tra loro. Il Distretto garantisce la continuità assistenziale ed è, anche, il cuore dell’integrazione tra i servizi sociali e i servizi sanitari. L’assistenza ai soggetti deboli, dai bambini agli anziani, dai portatori di handicap ai tossicodipendenti, ai malati terminali, non è un intervento sporadico e casuale, ma diventa una strategia di presa in carico globale della persona malata.
È utile rilevare, che il processo di aziendalizzazione delle Unità sanitarie locali ha reso più difficoltosa l’integrazione tra ospedale e territorio, perché si è accentuata l’attenzione alla dimensione ospedaliera dei problemi, alla manifestazione di acuzie e di emergenza, e quindi alle risposte curative, piuttosto che a quelle preventive e di riabilitazione.
A ciò si aggiunga la cronica situazione di deficit delle Aziende sanitarie che porta a concentrare e privilegiare gli interventi nei presidi ospedalieri a discapito degli interventi nel territorio.
Mi pare di poter affermare, ma mi piacerebbe essere smentita, che l’organizzazione dell’Azienda Sanitaria Locale n° 3 è ancora lontana, non solo dall’attuazione, ma anche dalla programmazione aziendale di un modello come quello che ho appena descritto. Pertanto è necessario ragionare sulla riorganizzazione delle ASL, oggi nelle mani di manager con potere monocratico, affidando al personale sanitario non la loro gestione bensì il cosiddetto governo clinico; la restituzione ai sindaci, che per legge sono ancora i responsabili della salute nei loro comuni, di un effettivo potere di verifica e di controllo, non di gestione, dell’assistenza sanitaria erogata ai cittadini, diritto da esercitare con l’ausilio delle associazioni di cittadini.
Mi piace utilizzare queste pagine, per proporre una riflessione a tutto campo sul futuro dell’organizzazione sanitaria del nostro territorio. Ritengo indispensabile, per una sanità di qualità, aprire un confronto sulla possibilità di scorporare alcuni ospedali, penso allo Zonchello ed al San Francesco, e costituire due Aziende sanitarie distinte: un’azienda Ospedaliera ed un’azienda sanitaria locale in cui insistono i piccoli ospedali, che possono essere, così, pensati come ospedali di distretto o comunità.
In questo modo avremo risorse certe da destinare alla sanità territoriale, e non, come avviene ora, risorse indistinte che in gran parte sono indirizzate per il funzionamento dei due grandi ospedali.
Per ora è solo una proposta su cui aprire un’ampia discussione con tutti gli attori della sanità: enti locali, forze sociali, organizzazioni dei cittadini, personale sanitario e dirigenza dell’azienda sanitaria.
Bisogna, naturalmente, essere consapevoli che potrebbe essere una soluzione non gradita a livello regionale, perché comporterebbe un aumento delle risorse da destinare al nostro territorio, ma è utile aprire da subito un confronto per giungere a soluzioni largamente condivise dalle forze politiche di entrambi gli schieramenti, oltre a tutti i soggetti su richiamati, per avere la forza di attuarla attraverso il Piano Sanitario Regionale che l’Assessore alla sanità dovrebbe proporre entro giugno-luglio.
È per questo motivo che ritengo utile riproporre, anche in questa sede, la questione del reale riequilibrio territoriale, ponendo fine alla polarizzazione, tra Cagliari e Sassari, della sanità sarda.
Pertanto, ritengo, che non sia rinviabile l’attivazione dei servizi che si rendono necessari, in base alle leggi vigenti, per la costituzione del “terzo polo sanitario” per Nuoro e la Sardegna centrale.
Dobbiamo anche tener presente che la struttura dell’Azienda Sanitaria n°3, la sua configurazione richiede una forte integrazione funzionale tra l’ospedale ed il territorio, l’operatività immediata dei distretti di base assieme all’indispensabile organizzazione dell’assistenza domiciliare integrata, l’ospedalizzazione domiciliare, la valorizzazione ed il potenziamento della rete dei consultori ed infine l’attuazione di un’effettiva attività di prevenzione. In tal modo, la giusta attenzione va data, anche, all’attivazione delle politiche sociali, e quindi all’integrazione socio-sanitaria, così come previsto dalla legge regionale 5/95.
Tutto ciò per attuare quel principio dell’equità, in base al quale deve essere assicurata la rimozione di qualsivoglia disparità territoriale ed economica, in modo da garantire eguali opportunità d’accesso a parità di bisogno.
Bisogna saper costruire una strategia compiuta avendo come riferimento essenzialmente tre punti: la qualità dei servizi, le compatibilità economiche, il grado di universalità.
Mi pare che il documento di indirizzi approvato dalla Conferenza d’azienda dell’ASL n° 3, per l’anno 2002 vada in questa direzione, poiché si pone come obiettivo prioritario l’erogazione di livelli uniformi di assistenza, come momento di ricomposizione e di sintesi degli interventi sanitari individuati come appropriati ed efficaci, nella nostra azienda così come in tutta la regione, per superare una situazione di disomogeneità che crea disuguaglianze di trattamento nei diversi territori, e l’istituzione di un Fondo perequativo da utilizzare per erogare risorse economiche ai territori più svantaggiati. Rimane solo da chiedersi che attuazione abbia avuto.
La qualità delle prestazioni erogate dal sistema sanitario nuorese, nella sua interezza, deve porre fine all’emigrazione sanitaria che, oltre a determinare gravi “buchi” nella spesa, mina la credibilità dell’intero sistema di assistenza sanitaria. Per fare ciò è necessaria una dirigenza capace di analizzare i bisogni di salute della popolazione e proporre soluzioni adatte.
Dobbiamo, per quanto nelle nostre disponibilità, avversare la cosiddetta devolution di Bossi Il disegno di riforma costituzionale del Governo, perseguito con tenacia dalla Lega Nord, prevede un’esclusiva competenza organizzativa e di sistema delle Regioni, lascia del tutto indeterminato il problema del finanziamento e mette in discussione il vincolo nazionale dei Livelli essenziali e uniformi di assistenza. Si cancella anche formalmente il principio dell’uguaglianza nel diritto alla tutela della salute e si persegue un federalismo d’abbandono, in cui le Regioni economicamente più forti hanno la meglio su quelle più deboli.
Considerata la già ampia potestà legislativa oggi, in mano alle Regioni, è proprio sul versante dell’organizzazione del personale che la devolution potrebbe avere effetti clamorosi: fino a spingersi alla devoluzione della contrattazione collettiva nazionale in sede locale, creando modelli differenti retributivi e normativi.
Modernizzare il sistema non equivale a destrutturare, semmai a tradurre nella nuova realtà socioeconomica di fine secolo i principi di giustizia e uguaglianza che sorreggono i sistemi di solidarietà sociale.
L’Ulivo vuole rispondere positivamente a questa sfida: è possibile coniugare, da una parte, l’equità (perciò tutti contribuiscono alla spesa sanitaria secondo le proprie possibilità economiche e non in ragione del proprio stato di salute), l’universalità (chiunque può utilizzare il Sistema Sanitario Nazionale e quindi Regionale senza essere discriminato in base al reddito, l’età, la condizione culturale e sociale), la globalità del Sistema (la copertura di prestazioni che vanno dalla prevenzione alla riabilitazione) e, dall’altra parte, la produttività e l’efficienza del sistema.
In conclusione, se non si è in grado di fare dell’Azienda Sanitaria n°3 un punto d’eccellenza tanto da qualificarla come naturale terzo polo sanitario, nella sciagurata ipotesi che sia approvata la devoluzione di Bossi, saremo cittadini “meno uguali” rispetto all’assistenza socio-sanitaria.
NUMERO /2
Anno 2003, n. 2
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