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Memorie dallo Spielberg
 
Nuoro, addì 14 agosto 2042 (credo).
Quinta Era Forzista.
Sto qua dentro da tempo immemorabile, un carcere di massima sicurezza chiamato Spielberg, credo in ricordo di un regista americano. Anticamente era un teatro che non fu mai completato poi, con l’avvento del regime forzista, venne trasformato in una prigione.
Segno sul muro il passare degli anni tracciando dei piccoli graffiti sull’intonaco. Nella penombra vedo poco ma credo di aver scalfito il muro per almeno quaranta volte. Se non altro mi è servito per tenere sotto controllo la lunghezza delle unghie; carcerato va bene, ma all’igiene ci tengo.
Inoltre, per non sprecare il lavoro fatto, ho inciso le linee in modo da comporre la scritta “ABBASSO IL REGIME” tanto, più dell’ergastolo non mi possono dare e comunque ormai nessuno sa più leggere né scrivere perciò è difficile che capiscano cosa ho fatto. I gendarmi forzisti che entrano nella cella credono si tratti di un disegno pornografico e vanno via rossi in viso con le narici frementi. In effetti, qualche volta che mi capita di osservare con attenzione la scritta, pare anche a me di intravedere il posteriore della prima ballerina di fila del “Moulin Italienne”, ma io ho buoni motivi per vedere un culo femminile in una scritta o in qualsiasi altra cosa perché se i conti sono giusti, sto qua dentro da quarant’anni e da quando ho varcato il portone di questa galera non ho più visto una donna.
Se la vedessi ora potrei scambiarla per una scritta.
E poi a ottantasette anni, quanti credo di averne, ho altre preoccupazioni per la testa, ben più importanti del saper distinguere una donna da un ombrello; entrambi inutili per le mie esigenze. Per esempio la salute del mio amico Piero Marongeddu, vicino di cella cui hanno dovuto amputare la lingua per via della cancrena.
L’arrestarono, mi pare nel 2008, prima Era Forzista, perché in un bar disse a un amico di bevute che il Ministro per la Pari Redenzione e Remissione era drogato marcio e spacciava cocaina durante le funzioni parlamentari. Che fosse falso lo sapevano tutti, era noto che si trattava di eroina, ma servì a poco. All’amico diedero la presidenza di un Ente, lui fu buttato qua dentro dopo un processo durato quasi diciotto minuti, condannato a trent’anni senza sconti di pena perché non poteva permettersi un avvocato del Foro Forzista. Fu difeso d’ufficio da un vicino di casa disoccupato, scelto dalla Suprema Corte di Giustizia Berlusconiana, che ce la mise tutta ma inutilmente. Alcuni affermarono che se non fosse stato sordo-muto avrebbe spuntato qualcosa di meglio. Fatto sta che finì così.
Piero trascorse i primi dodici anni in una cella di sicurezza due metri per due senza finestre e con la televisione sempre accesa. Allo scadere del dodicesimo anno molte delle sue certezze crollarono sotto i colpi di Geppa Baudo e Odino Buongiorno, pronipoti di due famosi conduttori TV del XX secolo.
In un primo tempo lo si sentì borbottare sotto voce poi, via via, con tono più deciso e voce limpida, ripeteva quelle frasi deliranti sempre più spesso e con diversa intonazione secondo l’umore. “Previti era innocente”, “Dell’Utri un brav’uomo”, “Fede un giornalista”, “Berlusconi un profeta” e altre cose che per pudore mi rifiuto di ripetere.
Battevo sul muro divisorio e lo supplicavo di smetterla, avvertendolo che nessun essere vivente, umano o altro, può tollerare a lungo certe sollecitazioni. Lui mi rispondeva ingenuamente che se l’uomo è arrivato su Mercurio ed è riuscito a completare la Carlo Felice, può fare tutto. Ma non ebbe ragione.
E così il suo metabolismo, già indebolito dagli stenti della carcerazione, subì una sorta di rigetto con effetti incontrollabili e devastanti che si localizzarono nella lingua.
Ricordo che arrivò un vecchio dottore Bonapartista in divisa, con i capelli bianchi e lunghi e un viso stanco, solcato da profonde rughe. Ormai erano rimasti in pochi i seguaci di Fausto Berto Bonaparte, il mitico rapper con l’erre moscia soffocato durante un concerto dalla sua stessa dentiera, ma si riconoscevano subito per la divisa tipica dei rappers e per l’erre moscia.
Ci incontrammo nella cella di Piero alla presenza di due gendarmi, entrambi cloni del Ministro per la Pulizia Etnica e Politica Calogero Bossi che, con l’espressione acuta e intelligente appresa nella Scuola di Alta Gendarmeria Leghista “Borghezio Martire” non ci perdevano d’occhio neppure per un attimo.
Il dottore fece stendere Piero sopra una branda traballante di legno mentre io gli stringevo le mani poi, rivolgendoci uno sguardo tormentato e triste estrasse dalla valigia che aveva con se un lungo e largo segaccio. Grosse gocce di sudore gl’imperlavano la fronte alta e stempiata e un tremito incontrollabile gli faceva ballare la palpebra destra. Nell’espressione dei guardiani lessi un moto di sgomento e di commiserazione e in quel momento pregai con tutto il cuore che nell’animo del mio amico ci fosse la forza necessaria per affrontare quella prova con coraggio e dignità.
Il dottore impugnò il segaccio risolutamente e si inginocchiò vicino alla branda. Poi, senza dire una parola, le segò con decisione il piede più lungo così smise finalmente di traballare. Tirai un sospiro di sollievo: la cosa più importante era fatta.
Non sto a raccontare del taglio della lingua perché sarebbe lungo e doloroso e preferisco dimenticare quei terribili momenti. Dico solo che l’ultima frase pronunciata da Piero prima della mutilazione, bisbigliata in un momento di lucidità, fu “era un ladro”.
Poi dovemmo bloccarlo per l’operazione.
Per due volte tentò di scappare e accorse tutto il personale di turno per accerchiarlo; fu necessario chiamare due passanti per dare una mano perché da soli non riuscivamo a tenerlo fermo. Gli strepiti e le urla si sentivano sino alle campagne vicine tant’è che pastori della zona pensarono a una carneficina di maiali o a uno dei tanti test atomici americani che periodicamente si tenevano al largo di Capo Teulada e che la portavoce del Ministro della Subalternità Americana e della Propaganda Annan Coaffè Macchiat Snack Ok Toast Bushia spacciava per esplosioni naturali di balene forate da iceberg vaganti. Già da prima che mi buttassero qua dentro la faccia di bronzo del regime era conosciuta, i sopravissuti come me ricorderanno quella storia delle imposte sui malati quando il Ministero del Benessere e della Floridezza decretò che tutte le malattie erano comuniste e che pertanto chi voleva essere malato doveva pagare una tassa proporzionale alla gravità della malattia stessa. O quell’altra volta che il Ministro per gli Studi Democratici e Privati chiuse tutte le scuole pubbliche e fece arrestare maestri e professori perché era vergognoso che la gioventù forzista perdesse tempo in quel modo invece che stare davanti al Televisore e pagare cifre alla portata di tutti per comprare un bel titolo di studio in un istituto privato.
Insomma, alla fine di quel drammatico giorno, quando tutto fu finito, Piero si allungò verso il dottore con le braccia tese in un muto ringraziamento poi, con pudore, quando fu certo di non essere visto da nessuno, controllando con attenzione quale fosse la palpebra ballerina, gli centrò l’occhio con un montante sinistro.
Fu il suo modo per ringraziarlo o almeno io lo interpretai così.
Dalla mia cella vedo il cielo attraverso una piccola finestrella, sotto se non ricordo male c’è un corso d’acqua, il Rio Roma che sfocia nel Lago Italia, sulle cui rive dove ora c’è l’arena per i combattimenti dei gladiatori contro i negri, un tempo sorgevano i ruderi dei palazzi della provincia e del comune. Metterò questi fogli in una lattina di BerlusCola vuota e la lancerò dalla mia finestrella nel fiume affidando alle sue acque un approdo. Se la trovasse una mano amica la pregherei di consegnarla a Gianni Pais, il centenario pasionario ancora attivo sulle montagne dell’interno dove clandestinamente stampa “Nuoro Oggi”. A lui è rivolto il mio scritto, a un eroe della resistenza che nonostante le privazioni e le terribili torture inflittegli nel passato dal regime continua a tenere viva insieme a pochi altri la fiamma del dissenso.
Onestamente, considerate le cose che pubblica da mezzo secolo, lo torturerei anche io.
NUMERO /4
Anno 2002, n. 4
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