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La violenza a Nuoro e in Sardegna
 
Chi consulta le recenti cronache della Provincia di Nuoro e della Sardegna, sui fatti delittuosi riportati dalla Stampa isolana e le statistiche generali riassunte nella relazione sullo stato della giustizia in Sardegna, è colpito dall’aumento generale della delinquenza, aumento che procede con progressione e ferocia, spesso con la consumazione di reati che appaiono privi di un valido movente che spieghi il gesto.

Nel tentativo di capire questa preoccupante realtà, non pochi ricorrono alle vecchie teorie; c’è chi pensa ad un nuovo corso; chi scrive che il rilevante numero di reati, per di più connotati dall’efferatezza dell’esecuzione, costituiscano uno dei fattori distintivi di nuove manifestazioni criminali; chi limita gli eventi alla sola Sardegna sostenendo che l’Isola sia produttrice di peculiari fenomeni delinquenziali.
L’analisi non è esatta. Le stesse forme di criminalità si sviluppano, purtroppo, sul territorio nazionale invadendo anche spazi più ampi in Europa e nel mondo in un crescendo che si adatta ai nuovi tempi, al degrado culturale, alla crisi politica ed economica produttrice di conflitti sociali e di una violenza diffusa che, così come altrove, ha coinvolto anche la Sardegna.

Ai sostenitori della nuova singolare efferatezza delle condotte criminali è necessario subito ricordare gli episodi agghiaccianti del passato. La verità è che l’efferatezza ha sempre caratterizzato ogni forma di criminalità, il banditismo in Sardegna così come la criminalità continentale dai lontani tempi ai più recenti.

Gli episodi criminali in Sardegna si sono sempre susseguiti nelle varie epoche, ma nonostante l’affermata diversità, non presentano una connotazione particolare rispetto alle altre manifestazioni delinquenziali consumate nel territorio nazionale. Le domande che quindi è necessario porsi è perché questa continuità ? Perché la criminalità sarda si esprime anch’essa da secoli senza soluzione di continuità praticando i reati feroci, dall’omicidio alla rapina, al sequestro di persona all’attentato bombarolo? Cosa si è fatto perché tutto questo cessasse ? Niente! Semplicemente niente!
La reiterazione di reati tipici è dovuta al fatto che ogni comunità pratica il reato che è più congeniale al territorio ed alla sua economia. Il reato è prevalentemente finalizzato al conseguimento di un facile profitto od altra utilità con la sola predisposizione delle garanzie di impunità che molto spesso conseguono per l’incapacità preventiva dello Stato e per l’insipienza della giustizia penale.
Sulla tipicità c’è da osservare che mentre nelle società ricche e metropolitane mercantili, i reati si consumano prevalentemente nel campo economico (truffe, bancarotte, falsi in bilancio, concussione, corruzione) ove la violenza concorre come accessorio necessario per eseguire, garantire o proteggere l’azione delittuosa; nelle società rurali e pastorali i reati (“poveri”) risentono della cultura e dell’economia debole di quelle comunità, ma sono ugualmente connotati dal perseguimento di un interesse economico o di altra utilità. Anche gli attentati (a Lula come in altri paesi o nella stessa Nuoro) contro persone o istituzioni sottendono il fine di ottenere illecitamente qualcosa che per le vie normali è stata negata.
Il sequestro di persona, per esempio, è un reato che non richiede l’investimento di capitali ma spesso garantisce un profitto rilevante; è praticabile con estrema facilità con azione a sorpresa; la custodia dell’ostaggio solitamente garantita da un latitante che percorre disperatamente in armi le spopolate campagne dell’isola.
Nel recente passato si tentò di praticare lo stesso reato in altre realtà sociali. Nelle metropoli (New York, nel caso Lindberg), in Lombardia o in altre regioni del nord tale tipologia di reato si è rivelata impraticabile ed ogni qual volta taluno, è incorso in questa pratica è stato, in poco tempo, individuato e punito. È capitato ai sardi trapiantati nella penisola (casi Kronzuker, Niccoli, Ciaschi, Del Tongo ed altri) ed è capitato anche ai mafiosi (Liggio, Don Agostino Coppola et cetera) che in Brianza avevano sperimentato un nuovo corso sequestrando gli industriali Rossi di Montelera e Torrielli; la loro esperienza terminò presto con la liberazione degli ostaggi e l’arresto di tutti i responsabili. Sempre nella penisola vennero praticati sequestri di bambini custoditi in abitazioni da persone incensurate tentate dal facile profitto del riscatto, ma anche la loro azione delittuosa si concluse con un clamoroso insuccesso.

Pur con le diverse pratiche, presso diverse società, il delitto ha sempre un volto uguale, in Sardegna e altrove, anche quando si esprime con interventi violenti e crudeli. Non sono quindi la tipicità e le modalità di consumazione dei reati a distinguere la disposizione delinquenziale di un gruppo in una regione, ma la scelta di un modo di vivere nell’illegalità, che negli stati di crisi economica e morale si accentua e si sviluppa incontrollato in ogni dove.

Credo che i delitti accaduti nel nuorese e in Sardegna in questi ultimi mesi rispecchino perciò il clima generale di disorientamento sociale diffuso non solo nella società sarda. Sono cifre rispettabili capaci di impensierire il cittadino che vive su un territorio penalizzato dalla continua assenza dello Stato e delle istituzioni, testimone di eventi che nella sua analisi sono ingenuamente ritenuti prodotto esclusivo di quella comunità. Così non è. Noi sardi soffriamo di complessi che sono in gran parte atavici, ma è ora di capire che la vecchia società patriarcale, individualista ed immobile, è stata da tempo sostituita da una Sardegna collettiva e in movimento, nei valori e nei disvalori. I principi dell’onore, del coraggio, della disciplina, della lealtà, della fedeltà alla parola data, sono favole romantiche. Non siamo né migliori né peggiori degli altri. Il sardo che delinque produce fenomeni di turbamento sociale uguali a quelli prodotti da tutti gli altri uomini che delinquono in tutte le parti del mondo. Questo imperativo basterebbe a rimuovere lo stato di inferiorità e di commiserazione che il sardo ha di se stesso nei confronti degli altri. Siamo uguali agli altri nel bene e nel male. Esistono differenze che appartengono all’ambiente, alla cultura, al carattere, che modificano i tempi, le modalità dell’azione e delle scelte, conservando minime differenze fisiologiche, non sostanziali, che non consentono di attribuire una peculiare diversità al “fenomeno”. Tutti apparteniamo alla grande società che ha fatto della violenza il suo verbo e la sua predicazione, vuoi con l’egoismo, vuoi con le guerre vuoi con le azioni della criminalità.
Certo l’isolamento isolano (il bisticcio è cercato) pesa sulla nostra psicologia e sul nostro carattere. In questo senso, ma non tutti, siamo malamente individualisti, con tutti i guai che comporta l’individualismo, come orgoglio mal piazzato. L’individualismo ci spinge a considerazioni ingiustamente sottovalutanti e la disunione è la nostra prima impronta.
Vi è però qualche vantaggio; in Sardegna non esiste ancora l’associazione a delinquere che impone un vincolo duraturo, aggregante, omertoso, ma si delinque ugualmente. Le compagini delittuose si uniscono occasionalmente per consumare un delitto, poi si sciolgono spesso per non più riformarsi. La vendetta, come altrove, è però impeccabilmente razionale.

Potrei concludere affermando che forse noi sardi abbiamo un modo diverso di essere italiani, ma nessun sardo accetterebbe di essere considerato straniero in Italia; perciò, come tutti gli altri, sappiamo essere italiani nel bene e nel male. La nostra sardità è anch’essa un’espressione universale.
NUMERO /4
Anno 2002, n. 4
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