“Forse la letteratura è in crisi perché la realtà si è fatta così grottesca e surreale da far impallidire le fantasie più ardite, che risultano banali rispetto a ciò che accade realmente”.
Così scriveva qualche giorno fa Claudio Magris nel Corriere della Sera. Ma la letteratura oggi è in crisi, soprattutto, e questo credo sia il vero motivo, perché i suoi spazi sono stati occupati prepotentemente da altri, in particolare giornalisti e politici.
Ed ecco quindi perché assistiamo alla sovraesposizione della realtà quotidiana, ridotta ormai all’agire politico, dilaniata da una spirale di contrapposizioni, in cui riforme e progetti, vengono compresse e i processi consumati nell’arco di pochi giorni. Sembra che tutto debba caderci addosso da un momento all’altro. Si vive nel terrore del domani.
È una storia infinita di quotidiano degrado, che sta mettendo a dura prova le coscienze individuali e collettive, in balia del vortice manicheo delle posizioni. Se chi è in condizioni simili alla nostra e ha toccato il fondo, a noi, non si sa per quale motivo, tocca ancora scavare.
Un esempio per tutti: la riforma dei cicli.
Lo scontro è avvenuto e sta avvenendo in un’atmosfera dalle tinte apocalittiche, in cui emerge in primo piano il sacrificio del bimbo-scolaro-studente, nella disperazione generale delle famiglie italiane.
La posizione più moderata è stata “Questa riforma non guarda la realtà”. Vediamo questa scuola nella realtà dei numeri, non delle posizioni. Già dal lontano 1962 don Lorenzo Milani in Lettera a una professoressa scriveva “La scuola ha un problema solo: i ragazzi che perde. La vostra scuola ne perde per strada 462mila all’anno”.
A distanza di quasi quaranta anni non sembra che le cose siano cambiate, anzi. Le indagini più recenti, condotte dall’Istat e da altri istituti di ricerca ci dicono che su 1000 iscritti al 1° anno di scuola media: 44 abbandonano; 956 vengono licenziati; 875 si iscrivono al 1° anno di scuola superiore; 179 abbandonano; 684 arrivano alla maturità; 465 si immatricolano all’università: 285 abbandonano; 153 arrivano alla laurea e 26 al diploma.
Alla fine del percorso, 508 studenti scompaiono. Ma che razza di scuola è questa se estromette più del 50% degli iscritti? Perché, sono ancora pochi? Questi non sono “sacrifici”?
Se c’è una critica da fare è quella di aver atteso così tanto ad intervenire. Ironia della sorte, anche per rispetto della nostra Storia nazionale, in Italia la classe politica ha iniziato a capire l’importanza strategica della Scuola, solo quando l’hanno detto gli altri, che da tempo si erano impegnati con significativi investimenti finanziari, in un’opera di ammodernamento complessivo dei loro sistemi di formazione.
Oggi è alquanto difficile capire il destino che avrà la riforma dei cicli. Ma una cosa è certa che i danni saranno di gran lunga superiori qualora si decidesse di tornare indietro.
